Due ore di inaspettata libertà infrasettimanale dagli impegni di lavoro, mi danno la possibilità di potermi dedicare alle mie passioni.
Il rugby e il Petrarca, ovviamente, sono una di queste.
Domattina sono libero.
La sera prima chiamo Presutti al telefono dicendogli che mi farebbe piacere fare due chiacchiere con lui.
Disponibile come sempre, non mi dice di no e ci troviamo il mattino seguente alla Guizza, all’orario concordato.
Fa ancora molto caldo in questa metà di settembre. La giornata è splendida ed il sole, che amo tantissimo, mi dà la carica necessaria per quella che, nelle mie più intime intenzioni nascoste a Pasquale, sarà la prima “intervista” della mia vita.
L’allenatore dei Campioni d’Italia tuttoneri ha appena terminato la sua oretta di footing. Dimenticata ormai la dieta, abbandonata in fretta perché mai ritenuta una “priorità assoluta”, l’ex pilone della mischia “terrore d’Italia” non si priva del piacere di rivestire i panni dell’atleta ed assaporare il profumo dell’erba piegata sotto i tacchetti delle sue scarpe. Ritengo che la cosa debba aiutarlo, in qualche modo, anche nella sua professione di allenatore. Una sorta di ritorno al passato che lo aiuta a capire meglio come gestire il presente: i giocatori, i collaboratori, i dirigenti, gli amici di sempre e i più difficili da “allenare”, noi tifosi.
Già perché, a differenza delle altre categorie di persone, l’allenatore sta al tifoso come l’uvetta e i canditi stanno al panettone: c’è chi non ne sa fare a meno e chi, a prescindere, non ne vuol sapere. Spesso, nella sua mente, il tifoso si considera il primo allenatore della sua squadra, ma anche il presidente, il direttore sportivo, il dirigente accompagnatore, il direttore marketing, e via via a seguire, sino ad impersonare tutte le figure presenti in una società sportiva, dimenticandosi, di fatto, di essere semplicemente un tifoso.
Il “tifoso tipo” riassume in se tutte queste varie personalità. Una sorta di camaleontica figura, tuttologa del suo sport, e che difficilmente riesci a prendere per il verso giusto perché non si capisce quale esso sia. Un trasformista così abile che Arturo Brachetti non è degno nemmeno di lavargli i calzini!
Ci sediamo ai tavolini del bar, chiuso, e già la mia reale dimensione di tifoso ha il sopravvento su quella presunta di giornalista. La prima cosa che dico a Pasquale è lamentarmi del fatto che non gli posso nemmeno offrire un caffè e una brioche.
Cerco di rivestire in fretta i panni del giornalista e tento di fare le prime domande a Presutti. Già, ma qual è la prima domanda da fare? Non mi sono preparato nessuna traccia e quella che mi viene per prima è quella che gli farebbe un tifoso, confermando così l’indole camaleontica: “Com’è andata ieri sera la prima amichevole ufficiale con l’Accademia FIR?” gli chiedo, non avendola vista per impegni di lavoro. Sarà la prima e anche l’ultima domanda. Facile il mestiere del giornalista, penso fra me e me, quando Pasquale parte a ruota libera.
“Come vuoi che sia andata. Loro sono molto più avanti di noi nella preparazione e sono reduci da una bella tournée in Sud Africa.” Ne avevamo parlato anche sul Boccaccio. “Sul piano atletico ci hanno dapprima messo in difficoltà, poi è venuta fuori l’esperienza che ha fatto la differenza a nostro favore.”
Il risultato Pasquale non me l’ha nemmeno detto. Penso che, forse, non ho la stoffa del giornalista e me ne accorgo immediatamente subito dopo.
Un fiume in piena Pasquale, ma di quelli che non mettono paura. Anzi, che è piacevole ascoltare. E indosso i panni di un “registratore”, più che quelli di un giornalista: ascolto, memorizzo, poi a casa riavvolgerò il nastro e, facendomi le domande ne ascolterò le risposte. Ripenso: “Che facile fare il giornalista!”.
Parte da lontano Presutti, a raccontarmi del Petrarca di oggi. Parte da prima delle semifinali dello scorso campionato quando l’obiettivo dichiarato era la conquista dei play off. Non si è obbligati a vincere il girone all’italiana. E’ sufficiente arrivare tra le prime quattro. “Primo compito eseguito”, dichiara Presutti, “Raggiunto l’obiettivo primario richiesto dalla Società”.
“Pasqua’, ma quando finisce sto’ campionato? Nonna sta rinchiusa in camera tutto il giorno a snocciolare il rosario. Manco stesse male qualcuno Pasqua’!”. La nonna in questione è la suocera di Presutti, sua prima tifosa.
Mi racconta di come la squadra Campione d’Italia sia stata costruita mattone su mattone, piano piano, negli ultimi 4-5 anni, attendendo pazienti il momento opportuno che prima o poi sarebbe arrivato. Le ultime sfortunate semifinali e finali disputate, a qualcosa sono servite.
Finale di Rovigo a parte, dove poteva succedere tutto l’imponderabile, mezzo scudetto il Petrarca l’aveva già conquistato nel finale di stagione, andando a vincere in trasferta a Prato e a Parma e replicando con i toscani, nella semifinale di ritorno. “Contenere per 80’ una squadra determinata a ribaltare a proprio favore il risultato dell’andata, non è stata impresa facile ma il Petrarca ce l’ha fatta mettendo a frutto il risultato di tanto, tantissimo duro lavoro dentro e fuori del campo.” La finale di Rovigo è stata una “naturale consecutio”.
Un fiume in piena, dicevo, ma mai travolgente Presutti. Al contrario coinvolgente e a volte commovente per l’amore e la passione che sprigiona dalle sue parole: è un piacere sentirlo parlare.
Giustifica le scelte della società di privarsi di alcuni senatori, preferendo dare spazio ad elementi più giovani, del vivaio, nella convinzione che lo scudetto vinto si può difendere con forze nuove, fresche. Con giocatori motivati a farlo. La logica delle cose vuole che siano gli anziani del gruppo a fargli da partner nella gestione dello spogliatoio: nel rugby, come nella vita, l’esperienza conta e Pasquale mi conferma che il Petrarca ha bisogno di quella dei propri senatori. “La campagna acquisti del Petrarca sino ad ora è stata più che soddisfacente, ma non è ancora conclusa e, prima dell’inizio del campionato, la rosa verrà ulteriormente implementata in alcuni reparti”. Non lo dice, ma è inteso che si parli di rinforzi nella linea di mediana e in seconda.
Il fiume in piena diventa un qualcosina più “minaccioso” quando l’argomento verte direttamente sulla figura dell’allenatore: la sua. Minaccioso ma contenuto negli argini della serenità. Gli dà un po’ fastidio quando qualcuno dei suoi amici, intervenendo a discussioni al tavolo di un conviviale o al bar, lo pungola senza ritegno al punto di volersi sostituire a lui nella sua professione. “L’allenatore del Petrarca sono io – risponde puntuale – conosco i miei uomini e le loro attitudini e peculiarità e cerco di valorizzarle al meglio per il bene della squadra. Quando il mio lavoro non andrà più bene alla Società, mi tirerò da parte lasciando il posto a qualcun altro. Finché in panchina ci sto seduto io, la responsabilità delle scelte e di ciò che accade è mia, nel bene e nel male”.
Rientra immediatamente nel suo alveo il fiume in piena, sventando la minaccia di rompere gli argini, anche perché al tavolo con noi, è seduta una persona speciale, tifosa al pari della nonna di cui sopra e di tutti i tifosi presenti al Battaglini il giorno della finalissima, artefici insieme a Pasquale della vittoria del Petrarca. Presutti non vuole darle una brutta impressione.
Si è fatto tardi e Pasquale deve correre ad un altro appuntamento, non prima però di esprimere ad alta voce il suo consenso per la proposta del Boccaccio fatta alla società tuttonera, nel discorso inaugurale della Festa Scudetto, ovvero che il “Centro Memo Geremia” diventi veramente la casa di tutti gli appassionati del Petrarca e del rugby.
Ci dà anche un ultimo consiglio, che accettiamo di buon grado: alle critiche (nel nostro spirito sempre costruttive) desidera facciamo seguire le iniziative a favore del Petrarca. L’azione che fa seguito ad una proposta (critica costruttiva) è il miglior aiuto che il Petrarca si aspetta dai tifosi.
E ne siamo convinti.
Ci alziamo e lasciamo Presutti ai suoi molteplici impegni, ringraziandolo per la sua disponibilità. E’ stato bello, in questa mattina di sole caldo, seduti sulle sponde di un fiume in piena, sentire sul viso i suoi freschi spruzzi d’acqua.
E la mia prima intervista?
Sarà per la prossima volta: in fondo anche il mestiere del giornalista non si improvvisa dalla mattina alla sera ed ho capito che di strada da fare, per me, ce n’è ancora tanta.
Enrico DANIELE
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