Un campione ci lascia con una speranza: tornerò!
Quindici giorni fa,
quando andai a Mogliano per la XVII di campionato e vidi dare il calcio
d’inizio ad Aristide Barraud, in cuor mio avevo capito che quello era
stato un calcio d’addio.
A fine partita ricordo di
aver incrociato Barraud nel parterre davanti alla club house di Mogliano e
l’intenzione era quella di fermarlo e parlargli per allontanare dalla mia testa
il dubbio che mi aveva fatto sorgere quel calcio. Tuttavia,
l’espressione del suo volto malcelato sotto il frontino di un cappellino troppo
calcato sulla testa, ha frenato la mia curiosità.
Quell’immagine mi è
rimasta impressa e quando ieri mattina ho ricevuto il comunicato stampa che
annunciava il suo ritiro dal rugby giocato, con difficoltà ho trattenuto l’emozione
e l’amarezza ed allo stesso tempo sono stato preso da una forte sensazione
di rabbia.
Ricordo bene quei tragici
giorni di novembre 2015 che hanno riportato alla luce le stragi che, per
diverse motivazioni, ma con l’intento comune di colpire persone inermi ed incolpevoli,
abbiamo vissuto anche noi in Italia in un passato che ci ha segnato e che tutti
vorremmo dimenticare.
Fece subito eco tra il
popolo ovale la notizia che fra le persone colpite dal vile atto sanguinario,
c’erano Aristide e sua sorella.
E tutti ci siamo stretti
insieme ed abbiamo pregato, ognuno a modo proprio, per rivedere presto
Aristide sui campi di gioco.
Oggi sappiamo che non
sarà più così a causa di una guerra insana che non ha due contendenti,
ma è unilaterale: solo “cacciatori” contro “prede inermi”. Un tiro al
bersaglio. Una guerra impari, persa in partenza dalle vittime, ma che
non sarà nemmeno mai vinta da vigliacchi ”cacciatori”.
Aristide (e così sua sorella) non si mai è arreso e
pur vittima, ha rialzato la testa, ha lottato contro ogni ostacolo postogli
dalla sua nuova condizione, contro una morte certa che solo la mano di
un dio (quello che volete voi) ha evitato, deviando quei proiettili che
potevano essergli fatali.
Ma non gli è stato
sufficiente ritornare a vivere. Lui voleva tornare a giocare, contro il
parere di tutti, i medici per primi. E la lotta si è fatta ancor più dura, i
sacrifici enormi, gli stimoli più forti dei dolori che, purtroppo, alla
fine hanno avuto il sopravvento.
Aristide ha deciso che,
adesso, è ora di staccare la spina col rugby, di smetterla. Ne va della
sua salute e, pur a malincuore, ringrazia tutti e si ritira lasciando un vuoto
ma anche dando un forte segno di speranza per tutti quelli che, come
lui, hanno visto la morte in faccia.
Tornerà Aristide, lo dice
lui stesso nella lettera di saluto che tutti avrete certo letto, perché un
rugbista non smette mai di esserlo (nemmeno quando muore) tanto più lui che
a 28 anni ha ancora molto da offrire a questo sport che gli ha dato tanto.
In bocca al lupo Aristide, ti aspettiamo!
Enrico
DANIELE
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